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United States of America n.8: chiedere la carità

Negli Stati Uniti la crisi economica si è fatta sentire molto. Non è difficile vedere senza fissa dimora lungo le strade. Spesso giovani, alcune volte donne, di solito di colore. Non ho mai avuto l’impressione che simulassero il loro stato di enorme disagio, specialmente le donne. Molti non possono nemmeno pagarsi l’assicurazione sanitaria e allora la strada diventa casa loro.

Una delle cose che ho notato sono stati i cartelli utilizzati per chiedere aiuto. Cartoni riciclati con le frasi scritte quasi sempre con il pennarello nero e caratteri in stampatello. Sempre chiari, diretti, immediati. Da noi certe volte ho letto romanzi..

“per favore, un piccolo aiuto. Un panino o qualche moneta”

“per favore, un lavoro”

“oggi vorrei mangiare, qualche moneta o del cibo”

“un dollaro per una birra”

“sono senza casa. Per favore aiutatemi. Accetto lavoro o doni”

“la mia banca si è presa la casa. Cerco lavoro”

Senza dubbio, banconota legata al progetto. Un progetto che è una necessità impellente. Una collega di origini peruviane mi ha detto: “io sono felice di dare i soldi al tizio all’angolo del palazzo perché so che anche con i miei soldi si comprerà un panino”.

Tutte le volte che ho lasciato qualcosa a queste persone hanno ringraziato con un sorriso e non è mai mancato un “Dio ti benedica”.

Avrei voluto fotografare i tanti cartelli, ma non ho mai avuto il coraggio.

2 Commenti
  1. Beppe Cacòpardo dice

    Più vicino è il beneficiario, più profondo è il rapporto di fiducia che si stabilisce tra donatore e beneficiario stesso. E’ inoltre più immediata la verifica dell’efficacia della propria donazione, intesa non tanto come atto caritatevole, quanto come forma di partecipazione e condivisione, in questo caso del disagio. Qual è il ritorno per chi “investe” in solidarietà? Certo la gratificazione, certo la spinta a fare del bene, ma anche la volontà di dare il proprio contributo alla soluzione di problemi concreti. In questo caso, con tutta probabilità, conta anche la “immedesimazione”, il mettersi nei panni altrui. E ancora, la voglia e la necessità di esorcizzare il problema per sè, ovvero, di vedere nel disagio altrui un possibile disagio proprio, magari non subito, ma in prospettiva. Quando vedi uno del ceto medio che perde il proprio lavoro e, dall’oggi al domani, si ritrova senza casa e senza reddito, non sa come campare e come provvedere alla propria famiglia, non pensi solo “quanto sono fortunato io”; pensi anche “e se capitasse a me?”. In questi casi, emotività e razionalità si coniugano e generano “il gesto”. In ciò sta l’essenza del fundraising. Beppe Cacòpardo

  2. Raffaele Picilli dice

    Quando, per la mia ricerca, ho chiesto alle persone perchè donano, tra le tante risposte mi hanno colpito queste: “e pechè non dovrei farlo?”, “perchè no?”, “non mi pesa un dollaro”, “un dollaro non cambia la mia vita ma può cambiare quella di altri”, “potrebbe capitare anche a me”, “so cosa vuol dire aver bisogno”.

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