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Fundraising e beni archeologici: mettere a reddito la storia

Quando dico che bisogna mettere a reddito tutti i beni culturali dello Stato, non scherzo!

Per i musei servono soldi. La storia, l’arte e la memoria costano, ma sono assulutamente necessari.

All’estero, puoi fittare sale interne di musei prestigiosi, per organizzare eventi e cenare tra quadri di grande valore. Oppure, noleggiare opere d’arte per eventi esterni al museo. Nessuno si scandalizza, anzi, prenota. E le casse del museo respirano.

Se leggendo quello che ho appena scritto avete pensato: ” e chi lo paga il custode per lo straordinario?” oppure ” e chi se la piglia la responsabilità se si buca una tela?” , allora lasciate perdere il fundraising (ed eventualmente abbandonate la direzione del museo).

Secondo quanto racconta la tv Al Arabiya, l’Egitto potrebbe presto «dare in concessione» temporanea le sue meraviglie archeologiche a investitori stranieri. Insomma privatizzare pro-tempore piramidi e Sfinge e far fronte così alla crisi economica. La mossa porterebbe nelle casse egiziane fino a 200 miliardi di dollari. Una cifra che estinguerebbe il debito del Paese.

Si tratterebbe di dare in concessione a soggetti stranieri: le piramidi di Giza, la Sfinge e le aree templari di Abu Simbel e di Luxor. Il responsabile delle antichità egizie ha spiegato che la proposta gli è stata girata dal ministero delle Finanze e che il suo autore sarebbe l’intellettuale egiziano Abdallah Mahfouz. Secondo il piano, i vari siti archeologici – o almeno la loro gestione – dovrebbero essere messi all’asta con un bando pubblico destinato a soggetti internazionali.

Negli Stati Uniti, in Francia e in molti altri Paesi europei, la messa a reddito degli spazi museali non provoca mancamenti a nessun direttore o sovraintendente. E in Italia?

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