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#Fundraising: comunità di interesse al servizio del non profit

fundraising-angelo-deianaOspito nel blog un articolo di Titta Paparozzi pubblicato sul periodico NOW! Magazine del circuito Mondadori. Buona lettura!

Ricordate l’appello lanciato da Jimmy Wales nel 2009?
“Oggi vi chiedo di fare una donazione a sostegno di Wikipedia. […] Wikipedia non è un sito internet commerciale. È la creazione di una comunità, è completamente scritta e sostenuta da persone come te. […] Io credo in noi. Credo che Wikipedia continuerà a migliorarsi. […] Se oggi la trovi utile, immagina fin dove possiamo arrivare insieme tra cinque, dieci, vent’anni.”
Un esempio illustre che contiene l’ingrediente fondamentale per una campagna di Fundraising di successo: la comunità.
Ma cos’è il fundraising? Con il termine si indica l’organizzazione strategica di tutte quelle attività che consentono a un ente – non profit e con una mission aziendale – di entrare in contatto con un pubblico/sostenitore più ampio possibile, al fine di coinvolgerlo nel sostentamento dell’ente stesso, delle proprie campagne o per promuovere appelli di altri utenti.
Avere una mission è molto importante: è la chiave che mette in moto il processo di fidelizzazione degli utenti, perché conferisce all’ente, a una campagna o un partito politico, un’identità ben definita in cui le persone possano riconoscersi.
In “Friends for Life. Relationship Fund Raising in Practice” (1996) Ken Burnett sostiene che la componente di creazione e di gestione di relazioni sociali tra un’organizzazione e la sua costituency ha un primato, rispetto alla componente della raccolta di donazioni in senso stretto.
Cosa vuol dire? Essenzialmente che la raccolta fondi e la causa sono due entità inseparabili e che quando si parla di donatori, si tratta di azionisti, membri attivi impegnati nella risoluzione di un problema. Gli aspetti che davvero contano sono la causa – principale motore per la creazione di comunità – e le relazioni – espresse nell’instaurazione di un rapporto di fiducia tra chi lancia la campagna e chi se ne fa carico attraverso le donazioni. Il denaro versato è solo l’ultimo passaggio di un processo di narrazione più complesso capace di coinvolgere l’utente.
Il fundraising in politica ne è un esempio. Raffaele Picilli – CEO di Raise the Wind, agenzia specializzata in servizi per il Nonprofit e per gli Enti Pubblici – in una ricerca comparativa tra Italia, Stati Uniti d’America e Regno Unito sul fundraising e people raising politico – sostiene che il legame tra partito e programma politico è molto importante. Se il programma – espresso in una serie di punti – non è sufficientemente chiaro o non viene rispettato in seguito all’elezione, non pone le condizioni favorevoli alla nascita di una relazione di fiducia con il cittadino sostenitore. Inoltre – secondo Picilli – i partiti che potrebbero più facilmente lanciare una campagna di fundraising sono quelli con una forte connotazione tra simbolo e elettorato. A sottolineare che – si tratti di un’organizzazione umanitaria o di un partito politico – la narrazione di sé conta e con essa, il senso di appartenenza che è capace di infondere negli attivisti.
Il fundraising riguarda esclusivamente il denaro? Ray Gary, CEO di iDonate, sostiene che le organizzazioni non profit potrebbero raggiungere una fetta più consistente di mercato ed essere più incisivi sulla Long Tail – liberandosi da questo vincolo.
In sostanza, accettando donazioni non monetarie andrebbero a soddisfare quella parte di domanda fatta di potenziali donatori che non dispongono di liquidità, oltre a non tagliare fuori il 90% della capacità di investimento di un donatore.
Bene dunque lo sviluppo di offerte non monetarie parallelamente alle richieste di denaro e la presenza – nei website delle organizzazioni – di un motore di raccomandazione – stile Amazon.com – che migliori l’esperienza utente.
Dalla prospettiva dell’ente no profit invece, la Business Analytics può migliorare le performances di una campagna.
Secondo Marygrace Bateman, Market Manager della IBM Business Analytics (la IBM dal 2009 è proprietaria del software di statistica per le Scienze Sociali – SPSS) l’analisi predittiva è necessaria al settore del non-profit perché lo aiuta a comprendere quali sono le esigenze della comunità cui si rivolgono e a individuare i luoghi in cui i servizi che offre saranno più efficaci. Studiare il comportamento di una data popolazione processando di grande quantità di dati – continua la Bateman – consente di predire il livello di interesse e di partecipazione prima dell’esposizione ad una campagna, i livelli ottimali di impegno volontario, la produttività dei dipendenti e molto altro ancora.

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