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Da Volontariato Oggi, di Giulio Sensi: “Le associazioni memoriali, quando la morte non ferma la vita”.

Barca_al_TramontoROMA. Di norma, tutte le associazioni di volontariato nascono per un motivo specifico: tutela dell’ambiente, primo soccorso sanitario, conservazione del patrimonio e molto altro. Ma ci sono anche organizzazioni che nascono per perpetuare la memoria di persone che non ci sono più: le cosiddette associazioni memoriali. Un fenomeno interessante, poco indagato. Ce lo racconta Raffaele Picilli, fundraiser e amministratore dell’agenzia Raise the Wind.

Fundraising e associazioni memoriali. Ci sono differenze con le associazioni che hanno mission diverse?

In questi anni ho seguito diverse organizzazioni memoriali, associazioni nate in memoria di persone scomparse per lo più in maniera tragica o prematura. Incidenti stradali, tumori, malattie rare, suicidi. Di solito sono i familiari più stretti a volerle, nella maggior parte dei casi i genitori. Per esperienza, sono quasi sempre le madri a dare l’avvio alle procedure. L’obiettivo è mantenere vivo il ricordo di una persona cara cercando di offrire supporto (materiale o morale) a chi si trova nelle stesse condizioni. Il “conoscere” e vivere un certo tipo di dolore aiuta a mitigare il proprio e ad essere maggiormente efficaci nella fase di aiuto agli altri. Qualche volta, queste associazioni hanno anche l’esclusiva funzione di “cura” del dolore per la perdita di una persona cara. Quando accade questo, la gestione diventa più complicata.

Ci sono particolari problemi nella gestione di questo tipo di organizzazioni?

Dipende da quanto la mission è condivisa.  Certo, se i fondatori sono pochi e la memoria del caro scomparso è la sola ragione di esistenza dell’associazione, allora è difficile che l’associazione sopravviva a lungo.  Con il passare del tempo, diventa complicato coinvolgere persone che non hanno personalmente conosciuto la persona deceduta ed è per questo motivo che i fondatori devono fare uno sforzo ulteriore, impegnandosi a lavorare per la mission dell’organizzazione, senza naturalmente accantonare il valore del ricordo. I donatori hanno bisogno di essere coinvolti e di impegnarsi in buone cause che ritengono utili. Devono avere la certezza che la loro azione migliorerà la vita di altri e va oltre il semplice, anche se meritorio, ricordo.

Chi sono i donatori di queste organizzazioni?

Per prima cosa ci sono i familiari e poi le persone vicine alla famiglia o alle famiglie colpite da un particolare problema (malattia rara, incidenti stradali..ecc) e quindi particolarmente sensibili al tema. Infine, ci sono i cittadini che condividono i progetti o le attività dell’associazione attraverso il dono di fondi o di tempo.  Le ricerche sulle donazioni di fondi confermano, da anni, quanto questo settore sia povero di donatori. Per fare un esempio concreto, raccogliere fondi per la ricerca sulle malattie rare è molto difficile (Telethon da un grosso aiuto, ma parliamo di oltre 7000 malattie con diffusione minima). Proprio per la loro rarità queste malattie sono poco conosciute dai medici e giungere alla loro diagnosi richiede spesso tempi molto lunghi. I donatori chiedono risultati tangibili e quindi la fidelizzazione diventa difficile.

Come funziona la governance in questo tipo di associazioni?

A mio avviso, chi gestisce questo tipo di organizzazioni è opportuno che deleghi ad altri molte delle attività associative per allargare la base dei propri collaboratori e preparare il passaggio, futuro, di consegne. Troppo spesso si tende a pensare che la memoria dei propri cari possa essere condivisa e perpetuata solo da pochissime persone. Capita che sia il fondatore dell’organizzazione ad occuparsi di tutti gli aspetti gestionali e ciò, alla lunga, porta solo problemi. Un buon presidente non deve essere carismatico o iperattivo ma partecipativo.

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