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Il futuro del sistema “musei” tra fundraising, marketing e comunicazione – Parte 1

Secondo la Treccani un museo è ”un edificio in cui sono conservate, studiate ed esposte le testimonianze materiali della cultura prodotte dalle varie civiltà: quadri, sculture, ma anche altri manufatti come vasellame, strumenti scientifici, oggetti d’uso quotidiano”.

Lo Statuto di ICOM International Council of Museums, approvato nell’ambito della ventiduesima General Assembly di ICOM svoltasi a Vienna il 24 agosto 2007, riporta una definizione di museo: “Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto”. Va detto che la stessa ICOM proposte nel 2019 una definizione ancora più ampia ed attuale di museo: “I musei sono spazi democratizzanti, inclusivi e polifonici per il dialogo critico sul passato e sul futuro. Riconoscendo e affrontando i conflitti e le sfide del presente, conservano reperti ed esemplari in custodia per la società, salvaguardano ricordi diversi per le generazioni future e garantiscono pari diritti e pari accesso al patrimonio per tutte le persone. I musei non sono a scopo di lucro. Sono partecipativi e trasparenti e lavorano in partnership attiva con e per le diverse comunità al fine di raccogliere, preservare, ricercare, interpretare, esporre e migliorare la comprensione del mondo, con l’obiettivo di contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale, all’uguaglianza globale e al benessere planetario”. Ad oggi, quest’ultima definizione non è però stata approvata.

I musei non sono più luoghi dove conservare solo opere d’arte, oggetti, reperti di valore e interesse storico-scientifico. Sono, finalmente, qualcosa di più.

Gestire un museo non è semplice e sono molteplici le criticità. Non è semplice se si vogliono conseguire risultati e se non si vuole svolgere solo la funzione di una vetrina, con oggetti in esposizione. Ci sono però soluzioni immediate e a medio termine, basta solo decidere di agire e muoversi nella direzione giusta.

Mi occupo di fundraising per la cultura da molti anni e ho avuto l’occasione di visitare, anche più volte, decine di musei in oltre quaranta paesi del mondo. Entrare in un museo e guardarlo da più angolature è interessante e prezioso per chi fa un lavoro come il mio ed è fondamentale quando si vuole proporre, ai propri clienti, strumenti e tecniche innovative legate alla comunicazione, al fundraising e al marketing.

Nel mondo, non mancano i modelli vincenti di musei che hanno sperimentato e innovato con coraggio adottando buone prassi: membership differenziate, circoli per le aziende, organizzazione di eventi, collaborazione con le organizzazioni di volontariato, imprese o cooperative sociali, aperture serali, caffè e ristoranti, fitto spazi, shop e merchandising. Ragionare sui musei intesi quali hub culturali significa pensare, in primo luogo, a tutte le possibili interazioni tra musei e società in una logica di accountability.

All’estero il pranzo fra i capolavori d’arte è spesso normale. Alla bellezza del luogo si unisce una grande offerta enogastronomica, non di rado, di alto livello. Nel nostro paese, invece, questo è un aspetto dell’offerta culturale non ancora sviluppato, fra ritardi, concorsi e scarsa propensione al cambiamento. In Italia comincia ad essere possibile pranzare o cenare in un museo, ma caffetterie e ristoranti non si trovano ovunque, e purtroppo, alcune volte hanno la qualità di una tavola calda. Così, nonostante il luogo sia d’eccezione, la mancanza di qualità nella ristorazione fa sì che venga sprecata la grande opportunità di rendere l’arte anche fonte di reddito.

La conoscenza e la divulgazione del patrimonio culturale dei musei può essere rafforzata dalla collaborazione con le organizzazioni di volontariato, con le imprese e le cooperative sociali. Il Terzo Settore può fare la differenza, non per riempire vuoti, ma per rendere il cittadino maggiormente partecipe e custode dell’immenso patrimonio culturale italiano. Oggi il volontariato è diventato un fenomeno molto ampio, articolato e organizzato, che investe un numero di persone più elevato rispetto al passato. Questo nuovo volontariato è entrato a pieno titolo anche nei musei e nella gestione dei beni culturali. Il volontariato culturale, così inteso, rappresenta un dono di competenze, di capacità, di esperienze ed è assimilabile a una forma di mecenatismo: una donazione non in danaro ma in tempo.

Nel nostro paese si deve riuscire a far funzionare tutto quello che è “di contorno” al museo e può aiutare a far denaro o rafforzare relazioni: bookshop, merchandising, fundraising, volontariato, caffetterie, ristoranti e persino hotel. In Francia, hanno aperto un ristorante, gestito da Alain Ducasse, nella Tour Eiffel e un albergo a cinque stelle dentro un’ala di Versailles con l’obiettivo di trovare fondi per restaurare alcune importanti sale.


*Raffaele Picilli, fundraiser dal 2001 e fondatore del network di consulenti Raise the Wind. Ha pubblicato per Rubbettino Editore e insieme a Gabriele Granato “Fundraising e marketing per i musei” e “L’inestimabile valore: marketing e fundraising per il patrimonio culturale”.

 

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