#Fundraising per #politica n°79: ultime elezioni regionali, qualche riflessione sul futuro prossimo

Da qualche anno in Italia si è cominciato a parlare di tecniche di fundraising a sostegno della politica e dei partiti politici. L’argomento assume ancora più attualità se si considera che nel 2017 saranno aboliti i finanziamenti pubblici e quindi si esauriranno la parte sostanziale delle risorse che fino ad oggi hanno permesso alla politica di finanziare le proprie strutture e le proprie campagne elettorali. In vista di ciò, la maggior parte dei partiti sono corsi ai ripari, ma a modo loro.

Negli ultimi tempi si è assistito ad un fiorire di fondazioni legate ai partiti e persino alle correnti di partito. Ad alcune di queste fondazioni, enti privati, sono stati donati dai partiti beni immobili al fine di trasformarle in “casseforti” da gestire in modo autonomo. Inoltre, la nuova normativa sul finanziamento privato dei partiti stabilisce delle limitazioni alle donazioni di fondi, mentre al contrario, nessun limite alle donazioni è posto per chi vuole donare alle fondazioni…anche se sono espressione di un partito politico. Un modo pratico per aggirare la norma e ricevere donazioni in maniera riservata.

In realtà sono pochissimi i partiti che si stanno preparando al taglio dei fondi, con l’elaborazione di piani di fundraising. Gli strumenti da poter mettere in campo ci sono e potenzialmente sono validissimi. Un esempio per tutti: il 2 per 1000 (parente stretto del 5 per 1000 per le onlus e dell’8 per 1000 per le confessioni religiose). La torta da dividere è davvero imponente. Ma come è andata a finire la prima volta del 2 per 1000? Su 41 milioni di contribuenti, solo 16.000 hanno donato. Un completo fallimento. La dimostrazione del totale scollamento tra cittadini e politica.

L’ultima ricerca sul fundraising per la politica realizzata dal Centro Studi sul Nonprofit, dall’agenzia Raise the Wind e da Competere.eu, ha analizzato le attività di raccolta fondi durante le ultime elezioni regionali. Sono stati presi in esame 28 candidati alle presidenze e i loro sistemi da loro utilizzati per reperire fondi.

I dati emersi non sono incoraggianti e dimostrano l’assenza di una cultura del fundraising per la politica. Da un lato troviamo la politica che confonde il fundraising con le donazioni di fondi e dall’altro alcuni consulenti che si improvvisano “esperti di fundraising”. Appena il 46% di candidati ha utilizzato tecniche di fundraising. La maggior parte, peraltro, ha usato messaggi inappropriati, dimenticandosi poi di rendicontare le spese a fine campagna.

Lo strumento di donazione più utilizzato è stato la carta di credito con il 36%, a seguire il bonifico bancario con il 25%, e poi, a pari merito, il bollettino di conto corrente postale e il crowdfunding: 7%.
Questi dati mettono in evidenza la mera occasionalità della donazione. In mancanza di vere campagne di raccolta fondi, il sostegno è presentato come temporaneo e limitato alla sola elezione del candidato. Eletto Tizio, terminano i rapporti con i donatori. Infatti, solo il 18% dei candidati ha ritenuto utile raccogliere i dati dei donatori. Questo non è fundraising.

Rispetto al fundraising e al people raising per la politica, in Italia c’è ancora molto da lavorare. In particolare, sulla Politica, perché capisca che la partecipazione dei cittadini al voto attraverso il fundraising può avere un ruolo strategico nelle campagne elettorali. Sui Cittadini, affinché attraverso le donazioni si sentano più vicini e partecipi delle scelte politiche e sui Consulenti, perché evitino di improvvisare sperando che nessuno si accorga che tra fundraising e raccolta di fondi la differenza è abissale.